“Scortati” dalla polizia, alcuni fedeli sono stati costretti a riportarsi a casa i crocefissi che erano stati portati sul monte Che. I media statali parlano di parrocchiani “persuasi ed educati” dalle autorità, il parroco nega che sia stato un atto volontario.
I media di regime (Hà Nội Mới, An Ninh Thủ Đô, Radio The Voice of Vietnam, Hanoi Television), secondo abitudine consolidate, ieri hanno dato della vicenda una versione addomesticata e trionfalistica, per la quale “dopo molto tempo, persuasi ed educati dai funzionari del comune di An Phu e della contea di My Duc, domenica 24, sotto la guida del parroco Nguyen Van Huu e del suo vicario Nguyen Van Lien, un gruppo di parrocchiani ha rimosso tutte le croci sul monte Che”.
Tale ricostruzione dei fatti viene respinta dai due sacerdoti, che nel corso della vicenda sono stati pubblicamente insultati con gli altoparlanti e ripetutamente vessati dalla polizia con una serie di ordini di comparizione e lunghe ore di interrogatori. “Da venerdì - spiega il responsabile della parrocchia - gli altoparlanti annunciavano la decisione dei dirigenti locali del Partito comunista e delle autorità civili e militari di rimuovere domenica 24 tutte le croci sul monte”. “Un gruppo di parrocchiani è stato costretto dai funzionari a mettere in pratica la decisione, sotto stretto controllo della polizia. Non è stato fatto volontariamente. Abbiamo protestato contro la rimozione delle croci”.
Di buono c’è che, vinta la loro battaglia, le centinaia di agenti e attivisti che avevano occupato il villaggio se ne stanno andando, “per il ritorno alla vita normale”, come dicono i media statali.
Che sembrano non voler porre fine all’attacco contro i cattolici. Sotto tiro ora c’è padre Peter Nguyen Van Khai, redentorista, accusato di “organizzare pellegrinaggi a Dong Chiem” e “esagerare la portata degli incidenti, per motive politici”. Né ha fine la campagna contro l’arcivescovo di Hanoi, mons. Joseph Ngo Quang Kiet e contro I redentoristi della parrocchia di Thai Ha, qualificati “istigatori di sommosse”, per i quali si chiedono severe punizioni.
I media di regime (Hà Nội Mới, An Ninh Thủ Đô, Radio The Voice of Vietnam, Hanoi Television), secondo abitudine consolidate, ieri hanno dato della vicenda una versione addomesticata e trionfalistica, per la quale “dopo molto tempo, persuasi ed educati dai funzionari del comune di An Phu e della contea di My Duc, domenica 24, sotto la guida del parroco Nguyen Van Huu e del suo vicario Nguyen Van Lien, un gruppo di parrocchiani ha rimosso tutte le croci sul monte Che”.
Tale ricostruzione dei fatti viene respinta dai due sacerdoti, che nel corso della vicenda sono stati pubblicamente insultati con gli altoparlanti e ripetutamente vessati dalla polizia con una serie di ordini di comparizione e lunghe ore di interrogatori. “Da venerdì - spiega il responsabile della parrocchia - gli altoparlanti annunciavano la decisione dei dirigenti locali del Partito comunista e delle autorità civili e militari di rimuovere domenica 24 tutte le croci sul monte”. “Un gruppo di parrocchiani è stato costretto dai funzionari a mettere in pratica la decisione, sotto stretto controllo della polizia. Non è stato fatto volontariamente. Abbiamo protestato contro la rimozione delle croci”.
Di buono c’è che, vinta la loro battaglia, le centinaia di agenti e attivisti che avevano occupato il villaggio se ne stanno andando, “per il ritorno alla vita normale”, come dicono i media statali.
Che sembrano non voler porre fine all’attacco contro i cattolici. Sotto tiro ora c’è padre Peter Nguyen Van Khai, redentorista, accusato di “organizzare pellegrinaggi a Dong Chiem” e “esagerare la portata degli incidenti, per motive politici”. Né ha fine la campagna contro l’arcivescovo di Hanoi, mons. Joseph Ngo Quang Kiet e contro I redentoristi della parrocchia di Thai Ha, qualificati “istigatori di sommosse”, per i quali si chiedono severe punizioni.